Cemetery of Splendour

Rak ti Khon Kaen (2015) – Apichatpong Weerasethakul / Thailandia

Quando corpo e anima si scindono, al limitare di un cammino dove il sonno consuma insaziabile ogni linfa vitale, lì si erge invisibile un cimitero di re, un sepolcro di antiche virtù che trattiene ormai avaro le vite dei soldati malati. Qui, in questo nobile contesto, il cineasta Weerasethakul costruisce la sua opera, probabilmente una delle parabole cinematografiche più intense e romantiche mai create. E lo fa con il suo tipico approccio, giocando su ogni tipo di tematica, ironizzando  sul dramma, esasperando l’incredibile, illuminando con la straordinaria, abbagliante bellezza dei paesaggi piuttosto che di un semplice, riscaldante verde acceso nel pieno della notte: senza mai prendersi troppo sul serio ma soprattutto destando la commozione e l’ammirazione per un’opera geniale, toccante, sensuale, intimista, riflessiva ma anche contestatrice, surrealista e scanzonatamente pessimista.

Khon Kaen, Thailandia. Presso una scuola in rovina, ora allestita come ospedale, risiedono quaranta soldati affetti da una misteriosa malattia che li costringe a letto in stato comatoso, salvo poi risvegliarli sporadicamente e per imprevedibile tempo. Jen è un’anziana signora che, sposata ad un generale statunitense, si occupa di loro, in particolare di Itt. Durante i pochi risvegli di quest’ultimo, i due allacceranno un rapporto così profondo e intenso da sconvolgere le loro esistenze. Insieme saranno protagonisti di una lenta e surreale fusione con la natura circostante (complici due antiche muse protettrici del luogo) al termine della quale si separeranno per affrontare ciascuno il proprio destino, ma con più coraggio e più fiducia di prima.

In concorso alla 68ª edizione del Festival di Cannes nella sezione Un Certain Regard, l’ultimo lungometraggio del regista tailandese si presenta immediatamente come un’opera sconvolgente, rivoluzionaria, intraprendente come mai fino ad allora, volutamente dilatata nei tempi e costruita sull’ideale di una continua attesa, di un gravitare insensibili in un limbo, storditi da ogni sensazione provata eppure incapaci di reagire, avvolti da una coltre di nebbia cristallina eppure in simbiosi con una natura irreale, quasi fittizia, come fosse lo specchio dell’anima. Non siamo noi ad osservare l’opera quanto piuttosto l’opera a coinvolgere noi nella sua atmosfera, col suo catartico scivolare negli abissi dell’incoscienza, sfruttando la forza dell’amore ma soprattutto la forza dei sentimenti, del ricordo che li sospinge e del dolore che li rinforza. E ancora non è il dramma a forgiare l’opera, ancor meno la serietà; ciò che definisce e dà un senso al tutto è piuttosto il rapporto tra esseri umani, tra loro e il mondo che li circonda, la profondità dei vincoli che legano ognuno di questi e la tenacia nel voler sussistere in un mondo di falsi, in un domani che ci viene negato e in un oggi che siamo costretti ad affrontare. E come Jen, la risposta è nella lotta, nel tenere ben spalancati gli occhi, contro l’assopimento materiale e ideologico, imparando dal presente e sperando nel futuro, minacciati da uno Stato che, come gli escavatori nel giardino, uccide ogni speranza e abbatte ogni fiducia.

Appare chiaro che ‘Cemetery of Splendour’, oltre ad appoggiarsi ad una tematica prettamente politica, punti al ridefinire e dare un senso al discorso già iniziato cinque anni prima con ‘Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti’, opera più surreale e scherzosa. Ecco perciò che la ricerca intrapresa sul dolore, sulla coscienza dello stesso e sulla meditazione-interiorizzazione del presente, ritorna a galla con molta più eleganza e altrettanta maturazione tecnica, sia visiva che di messa in scena. In questo senso l’impianto tecnico si radicalizza ulteriormente rispetto ai precedenti canoni abitudinari, caratterizzandosi per una ripresa pressoché fissa, un’assenza completa di musica e, come già accennato, una dilatazione dei tempi quasi angosciante. I dialoghi, o per meglio dire le riflessioni dei personaggi, sono brevi e spezzati da frequenti riprese fisse su pochi elementi, che rimarranno invariati nella loro riproposizione fino al termine dell’opera. Il clima che si viene così a creare è di angustiante ricerca di pace interiore. La protagonista compie, ancora prima di un supporto morale e materiale al soldato, un viaggio interiore volto a sconvolgere ogni sua concezione della vita e della morte. La staticità della messa in scena si scontra e lascia il posto infine alla dinamicità dell’evoluzione individuale dei protagonisti in un finale dove la mdp stessa immortala tale cambiamento attraverso  una serie di inusuali primissimi piani ed una lenta carrellata orizzontale che chiude sull’impassibile volto di Jen.

Al di là delle molteplici letture che potrebbe fornire, oltre a risultare come il più grande risultato ottenuto dall’autore, il film segna un tappa fondamentale per il Cinema di contemplazione. ‘Cemetery of Splendour’ è, a conti fatti, un film inossidabile, fondamentale, di un romanticismo adorabilmente mistico e di una potenza visiva maestosa, senza paragoni.

Voto: ★★★★/★★★★★

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3 risposte a Cemetery of Splendour

  1. Buoyant ha detto:

    Ottima recensione, davvero esaustiva.
    Mi chiedevo: tu dove hai visto il film? E’ possibile recuperarlo in qualche modo?

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  2. paxy ha detto:

    Grazie. Il film l’abbiamo visto al TFF qualche week-end fa, non saprei dire quando sarà disponibile ma trattandosi di un nome abbastanza grosso non credo tarderà molto.

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