Heroic Purgatory

Rengoku eroica (1970) – Yoshishige Yoshida / Giappone

Tra l’immensità di cupi, geometrici complessi industriali, incorniciati da lunghe tettoie, sfiniti dalla pesantezza degli onnipresenti viali asfaltati, ci ritroviamo dispersi in uno spazio indefinito, sospeso nel tempo, in un aldilà visivamente e concettualmente lontano dalla comprensione umana. Vero e falso, realtà e illusione, detto e non detto; non esistono limiti nell’universo ricreato qui dall’autore nipponico, solo anime in pena che, in cerca di ricordi, in conflitto col presente, vagano invisibili disperse nella nebbia del tempo. Una delle opere più innovative e rappresentative della corrente pinku eiga, ‘Heroic Purgatory’ rappresenta soprattutto l’effettiva riprova di un onirismo impiegato con intelligenza, capacità e coscienza dei mezzi adottati: di una logica che, purtroppo eccessivamente criptica e intricata, segna a prescindere il punto di arrivo di un intero genere cinematografico.

Con simili premesse, grazie cioè ad un antefatto volto a rendere almeno parzialmente l’idea di un’opera costruita interamente su di una struttura illogica e grottesca, sciogliamo quella che, più che una trama, può essere considerata come la base di partenza che permette poi all’autore in causa di sviluppare, in una sorta di flusso di coscienza, la propria concezione del film. Una giovane, un ingegnere e sua moglie. Quando la prima entrerà inaspettatamente nelle vite dei due coniugi, queste ultime verranno brutalmente assalite dal cocente riemergere del passato di rivoluzionario del marito e, in una serie di deliranti parabole grottesche, vedremo il tutto precipitare in un vorticoso gioco di ruolo, di scambi di identità e di insane e spiazzanti rappresentazioni, comandate dall’assurdo, gestite dalla coscienza ma sempre sconfitte dalla realtà…

Secondo capitolo della trilogia del radicalismo giapponese dopo il fulminante ‘Eros + Massacre’, il film in questione punta fin da subito su di un discorso stilistico ben più complicato di quanto prevedibile. Se in precedenza era il discorso biografico, dunque la matrice puramente politica, a prevalere sul resto delle spinte attitudinali, in questo caso è forse quasi del tutto la volontà cinematograficamente radicalista ad avere il sopravvento. Analogamente a quanto attuato dal collega Wakamatsu, infatti, Yoshida disegna fin dal primo momento, attraverso una serie di portali astratti volti a stravolgere ogni concezione spazio-temporale (mancanza di senso di dialoghi, omissione di riferimenti quali ad esempio ambientazione, epoca o periodo) un impianto strutturale decisamente libero e slegato, predisposto per spaziare nella creatività dell’autore stesso intrecciando la vicenda con il substrato contenutisticamente provocatorio che a conti fatti la contraddistingue. E non è tanto questo a penalizzare l’opera, caratteristica sinceramente elogiabile, quanto proprio quel suo voler stravolgere ogni logica a tal punto da abbisognarne una propria per l’opera stessa in svolgimento, che, sin dai primi minuti, non coinvolge minimamente se non nella sua ostinata ricerca di una propria individualità stilistica, per altro mai del tutto riscontrabile.

Un’irruenta e e frenetica corsa nel delirio della realtà che però non si conclude su quel patibolo finale, e nemmeno in quella via polverosa e satura di nebbia; una corsa che in verità non si conclude affatto, scontrandosi al contrario con una totale mancanza di affetto sullo spettatore e un’altrettanta mancanza di spessore e chiarezza a livello di idee. C’è da dire che, ricordando soprattutto la bellezza di certe sequenze (come quella del tribunale verso la fine del film), rimane molto rammarico per una corrente cinematografica ricca di idee e assolutamente geniale a livello formale e stilistico. Purtroppo il regista in causa conferma la sua non totale percezione degli standard del genere, tentando un’operazione al di là delle sue possibilità e finendo inevitabilmente a scontrarsi con l’inesistenza di un filo logico che dia al lavoro una direzione e un senso. Possiamo comunque reputare ‘Heroic Purgatory’ come un’opera dalle molteplici potenzialità e dalla straordinaria forza d’impatto visiva, forte di una grande regia e perciò ampiamente sufficiente.

Voto: ★★★/★★★★★

Questa voce è stata pubblicata in Japanese New Wave e contrassegnata con , , . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento