C’eravamo tanto amati

C’eravamo tanto amati (1974) – Ettore Scola / Italia

Tra i tanti volti del Cinema italiano classico, Ettore Scola è forse quello che con più intelligenza e coscienza ha saputo tradurre gli impulsi della società sua contemporanea in un periodo così delicato come quello del secondo Dopoguerra, sicuramente quello che si ricorda con più amarezza. Sì, perché – in quel contesto – quelli cui ha dato vita sono stati forse i personaggi più veri, per questo i più graffianti. Come clown tristi e fuori posto, schiacciati dal peso di una nazione in lento riassestamento, quelli dei vari Mastroianni, Gassman, Manfredi e Tognazzi sono gli emblemi della sconfitta – sotto ogni punto di vista. Prestando fede a questa lettura, ne consegue che quello in causa rappresenti uno dei massimi risultati raggiunti dall’autore, un affresco diretto, non per questo privo di sfumature, che nel perorare la propria denuncia non trascura una narrazione ricca di pathos.

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Le vite di tre uomini (Gianni, Antonio e Nicola), indivisibili compagni sotto le armi, e di una donna legata nel tempo ad ognuno di loro (Luciana), sono il pretesto per raccontare, o meglio svelare, il volto dell’Italia e di chi realmente la ha caratterizzata, costruita e popolata. Così, ognuno dei protagonisti rivela un sentiero differente, le possibilità dell’italiano prima di fronte alla Ricostruzione, infine ai piedi del Boom Economico: dal fallimento alla disgrazia fino al rapace arrivismo. Non è tanto l’amicizia che, nell’ottica, Scola punta a evidenziare positivamente, né tanto meno la netta demarcazione tra prototipi (cui solo per comodità si fa qui riferimento e che per l’appunto, a uno sguardo più approfondito, tale si noterebbe non essere). In effetti, l’intento di ES è quello di insinuarsi tra le pieghe dell’italiano medio analizzandone i diversi stimoli o reazioni una volta posto di fronte all’urgenza del presente storico. A questo senso gli riesce persino arduo biasimare chi, come Gianni, ha fatto del successo la propria ragione di vita, sacrificando ad esso ogni cosa: il suo è un ritratto insolitamente ricco di nuances, spietato fino in fondo, o almeno così parrebbe.

Il film, del resto, viene spaccato in due da un cambio cromatico, vira verso il colore grazie ai pastelli di un artista di strada; gradatamente, a tingere la pellicola. Così, il paese ha guardato a se stesso fino alla metà degli anni cinquanta, in bianco e nero. Il procedimento, oltre che esteticamente avvincente, richiama una matrice storica andando a slegare i ricordi dal presente, due momenti ma soprattutto due realtà ben differenti. È infatti cruciale per la pellicola chiarire l’impossibilità per i tre reduci di ricongiungersi pienamente con le esistenze trascorse prima della guerra. Allo stesso modo l’affinità che tanto li aveva uniti in passato lascia il posto a una discordia continua, uno scontro senza sosta che pare riaccendersi come braci al minimo soffio di vento, al minimo pretesto: un’unione sacra e radicata proprio perché priva di materiale fondamento laddove complicità tra caratteri e personalità diametralmente opposte (un paradosso in apparenza).

È propria di Scola l’arditezza nell’azzardare figure e cornici altamente provocatorie, basti pensare al Gabriele di ‘Una giornata particolare’ così come all’intero plot de ‘La terrazza‘. Qui è forse il personaggio interpretato da Aldo Fabrizi a far riflettere maggiormente, graffiante satira del potere, imperituro magnate la cui voce è quella dell’autore, amara e disillusa. Ma, come detto, c’è del buono in tutti, i resti di un’umanità rinsavita, la presa di coscienza di una generazione che infine cede alla realtà. Come brevi sipari si aprono e chiudono i monologhi dei personaggi. Illuminati al pari di attori sul palcoscenico, le loro sono riflessioni a collegare il presente col passato, salti temporali che, in ordine sparso, ricostruiscono le vicende narrate. Con grandissimo estro visivo, l’autore campano racconta trent’anni di storia italiana senza per questo trascurare il parallelo cinematografico, un viaggio intraprendente che aspira a un’impresa onerosa portandola a termine egregiamente.

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Voto: ★★★/★★★★★

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