Il piacere

Le Plaisir (1952) – Max Ophüls / Francia

Dal maestro barocco e pittoresco di Max Ophüls un film in tre episodi interessante soprattutto  in quanto suggestivo ed intrigante. Una pellicola questa che, meglio di altre dell’autore tedesco, riesce ad esplorare in maniera accattivante e singolare il tema dell’amore, osservandolo non tanto sotto il profilo meramente passionale o coinvolto in prima persona quanto come l’approccio di uno studioso ad una materia di suo interesse, con la lente d’ingrandimento e con un sesto senso nell’estrapolarne fuori massime e valori, seppur non sempre bene.

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Come già anticipato la pellicola si dipana attraverso tre episodi. Nel primo si racconta di un singolare personaggio dal volto coperto che si inserisce in tutte le feste della società conquistando tutte le donne ma nascondendo anche un inaspettato segreto; nel secondo la tenutaria di un bordello si reca insieme alle sue ragazze in campagna, tra euforia ed amore generali. Infine nell’ultimo si narra della travolgente passione tra un pittore ed una delle sue modelle.

Un’analisi accattivante quella intentata qui dal celebre regista in causa: più che in altre sue opere precedenti infatti qui si riesce a notare chiaramente un intento più lodevole e meritevole del solito, un intento che va a scavare nel profondo dell’immaginario dello spettatore, colpendo e portando in causa uno dei temi più celebri e preferiti del cinema, ovvero l’amore. Ma come già detto l’approccio è totalmente inaspettato, molto analitico e se vogliamo anche satirico. Perché qui siamo di fronte a delle storie, degli episodi, che dietro ad un’essenza interessante e d’intrattenimento, nascondono una riflessione, seppur non d’alto livello, nemmeno così banale. Il processo del tanto lodato maestro del mélo diventa quindi una grande satira in costume dove ogni personaggio, con ogni tendenza o mania che possiede, si nota essere costruito col preciso fine di aprire gli occhi a chi osserva riguardo ad un tale aspetto della tematica amorosa.

Ma Ophüls qui riesce anche a sottolineare il proprio grande estro creativo attraverso un’ingegnoso alternarsi di comico e di drammatico, senza definire o conferire una chiara e palese atmosfera e sensazione, ma mescolando ogni plausibile atteggiamento in modo da aiutare ulteriormente la riflessione a riguardo. L’amore qui viene visto, più che sotto una luce positiva, come un fattore che porta le persone alla follia, ad atti inconsulti che trascendono la volontà del singolo, unici in quanto portatori di una malinconia esistenziale, come nel primo episodio, o come semplici espressioni del sentimento in questione meno approfondite, come invece nella seconda storia. L’arte di Ophüls, apprezzato anche per le sue doti registiche, sta infine nel valorizzare le proprie tematiche attraverso una tecnica di ripresa spesso circolare e molto basata sugli effetti di luce e sulla costruzione minuziosa dell’inquadratura, senza lasciare nulla al caso.

Risulta chiara, nel cinema dell’autore, una tendenza al mélo che spesso lo porta a creare storie poco credibili e spesso esageratamente realizzate, come nel suo precedente ‘Lettera da una sconosciuta’, dove il dramma diviene il perno di una storia di fatto poco credibile ed incessantemente rimandante ad un aspetto, come del resto nel film in causa, poco incisivo ed interessante ad un livello cinematografico umanamente attuale ed utile.

Un film quindi che non spicca sotto nessun aspetto se non quello del mero intrattenimento e che non va oltre la semplice godibilità dell’intreccio, senza peraltro manifestare le particolari doti tecniche tanto affibbiate all’autore. Un’opera godibile ma di poca utilità e di ancora meno importanza a livello filosofico o intellettuale, senza risvolti nella vita concreta se non quelli di un argomento palesemente superficiale, e che si distingue unicamente per l’ingegno creativo dell’autore, senza il quale il risultato finale sarebbe stato ancora più sconfortante.

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Voto: ★★/★★★★★

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