Sicilia! (1999) – Jean-Marie Straub, Danièle Huillet / Italia
Nello studio dell’immagine in relazione alle proprie capacità di trasmissione, nel rinnovamento del linguaggio visto come atto di resistenza, dell’ambiente come riesumazione storica e del dialogo autore-spettatore come rivoluzione stilistica, politica e culturale; in tutto questo converge l’operato cinquantenneale dei cineasti parigini Jean-Marie Straub e Danièle Huillet, e cioè nel tentativo di creazione di un’opera che in primis scardini definitivamente il linguaggio cinematografico comunemente inteso e solo dopo lo adatti e reinterpreti sotto forma, più che di vero e proprio film, di elegante, irritante, anarchica, minuziosamente particolareggiata dichiarazione di guerra, colpo di martello alle catene che legano gli elementi costitutivi di un’opera l’uno all’altro privando gli stessi del loro potenziale intrinseco. ‘Sicilia!’ in questo non differisce affatto. L’opera intera in realtà, nelle sue cinque fasi, può essere letta come una serie di scavalcamenti di priorità tra una componente e l’altra e le interpretazioni di queste come dissertazioni/sperimentazioni di carattere e tecnico e filosofico.
Questa probabilmente, tra le innumerevoli realizzate dalla coppia francese, è una delle migliori espressioni di Cinema sperimentale, un intellettuale, al contempo rabbioso e ponderato riadattamento del romanzo dell’autore italiano Elio Vittorini, ‘Conversazione in Sicilia’. Silvestro, dopo anni trascorsi viaggiando tra l’Italia e l’America, torna nella sua terra natale, la Sicilia appunto, ritrovandovi un luogo colmo di ingiustizie e di contraddizioni ma soprattutto confrontandosi con una realtà e con un passato familiare inaspettatamente, spaventosamente astrusi, insoliti, quasi grotteschi eppur mai così veri. Egli assiste assieme allo spettatore ad una fiera di personaggi iconici, attori perfettamente calati nei propri ruoli, sorrisi sardonici di un paese in miseria, maschere di cera fin troppo vere. Una resistenza che, ancor prima degli intenti, nasce dai fatti, dall’interpretazione di un linguaggio calato qui all’interno di un’inquadratura-reale, oggettivazione spazio-temporale tra le più colte e stilisticamente innovatrici mai osservate: reinvenzione formale e conseguente analisi storico-politica.
Più che la concezione della realtà, si nota quanto venga appositamente, non tanto stravolta o plagiata quanto proprio adattata, la forma attraverso la quale la stessa viene proposta. L’esasperazione dei dialoghi, quasi pièce teatrali scandite da pause continue e appositamente inopportune, il rimarco della Sicilia vista come terra fondamentalmente ricca e affascinante ma anche come realtà rurale in rapida scomparsa: zona logorata dai propri incipienti problemi economici e dal conseguente conflitto col Nord. In questo attento, onnipresente studio multiforme di una precisione quasi scientifica, spicca su tutte l’analisi del territorio in relazione alle vicende personali del protagonista, e non a caso gli autori dedicano a ciò gran parte della durata dell’opera, ovvero il confronto madre-figlio. Qui cambia del tutto la prospettiva, ci si ritrova all’interno di una vicenda familiare ingarbugliata tra le fila del passato. Una storia fatta di tradimenti, di dissidi, rimpianti, ma ancora una volta Straub e Huillet non cessano di manipolare la natura del soggetto per mezzo di un tono al contempo serio, compito ma anche tanto singolare da risultare quasi ridicolo pur rimanendo drammatico e solenne. Silvestro qui apre gli occhi su ciò che mai aveva saputo riguardo al padre donnaiolo, alla madre consenziente (eccezion fatta per le scappatelle seguite da lettere d’amore), ma assieme a lui apriamo gli occhi anche noi sull’ennesima contraddizione irrisolta di una regione simbolo del Sud Italia. Contadini sfruttati indecentemente e pagati a termine lavoro in arance, matrimoni di dubbia moralità, piccoli lavoratori abbandonati a sé in paesini quasi disabitati e ancora mafiosi, ricconi, emigranti, insomma un mondo dai mille volti, proprio per questo un complesso sistema sociale qui penetrato dagli autori con l’intelligenza e la costanza di archeologi, di studiosi che per l’ennesima volta non abbandonano i temi centrali dell’Europa moderna (‘Kommunisten’ spicca come il più glorioso e riuscito tra gli esperimenti intentati a riguardo) consacrandosi nell’Olimpo dei cineasti europei al contempo impegnati ed innovatori.
Voto: ★★★/★★★★★