Professione: Reporter

Professione: reporter (1975) – Michelangelo Antonioni / Italia

Un noto ed affermato giornalista anglo-americano, David Locke, si ritrova nell’Africa Settentrionale col compito di realizzare un servizio sulla guerriglia in corso nel posto. Il malessere interiore e il desiderio di cambiare con i quali convive lo conducono a servirsi della morte di un uomo trovato nella stanza di un hotel e a farne propria l’identità. Tutto però andrà per il verso sbagliato, l’uomo dell’hotel era immischiato nella guerriglia, e David, forse in parte consapevole di ciò che gli sta accadendo, ne pagherà le conseguenze.

Riprendendo il discorso iniziato in ‘Blow-up’Antonioni intraprende un’analisi fredda e disillusa dell’uomo in relazione alla realtà che lo circonda; il netto contrasto che ne emerge è come sempre devastante, e qui più che mai risulta esserci un’impossibilità di fondo nell’armonia tra i due: le infinite distese di sabbia, gli interni delle abitazioni del tutto scarni, ogni ambientazione si fa emblema dello stato d’animo di David, quasi come a suggerire un’esistenza di base pressoché vana e sterile. Il protagonista – un sublime Jack Nicholson – non si differenzia in alcun modo dai precedenti personaggi interpretati da David Hemmings come da Monica Vitti, il malessere ontologico infatti è sempre la causa della propria disfatta interiore, questa volta, tuttavia, il personaggio principale cerca diversamente di sfuggire (d)alla realtà; l’occasione presentatasi nell’hotel diviene un’alibi perfetto per nascondersi dalle proprie paure, le spoglie dell’uomo trovato morto appaiono così una via di fuga, forse l’unica possibile, per evadere la realtà. Ma così non è. David è sempre cosciente della propria condizione, egli sa che non esiste alcuna via di fuga percorribile, tuttavia quell’incontro straordinario, quell’opportunità unica e irripetibile è allo stesso tempo una possibilità, l’espressione di una pace spirituale virtuale che, nonostante ciò, non può fare a meno di essere colta all’istante. Ecco che il cambio d’identità fornisce al protagonista una speranza, seppur utopica, di evadere dal proprio io, ma può davvero l’altra personalità liberarsi del malessere con il quale dapprima si conviveva? È inevitabile che non possa essere così e il film suggerisce la risposta per mezzo dei comportamenti del protagonista, gli stessi sia prima che dopo il cambio d’identità.

Un’altra volta il cineasta italiano riesce a dare forma al nulla, al vuoto esistenziale che pervade l’uomo nella propria anima. Il ricorso sporadico alla parola come mezzo di comunicazione valorizza i pochi dialoghi presenti, tenuti per la maggior parte tra il protagonista ed una ragazza conosciuta in Spagna; figura tutt’altro che secondaria – questa della ragazza (Maria Schneider) – che, a conti fatti, pare essere l’unica a comprendere David, forse proprio perché ne condivide il dolore. Un dolore che è giustificazione e mortificazione della vita stessa, come esprime la sequenza finale: la mdp oltrepassa le barricate della porta finestra, arriva la polizia, la macchina da presa compie un movimento circolare finché non vediamo di nuovo il protagonista sul letto, questa volta da dietro le barricate. Le riprese verso le sbarre procedono in maniera flemmatica, quasi a far sembrare impossibile la fuga dalla realtà, la liberazione da questa sorta d’imprigionamento che le sbarre rappresentano per David, il quale, difatti, non riuscirà mai a liberarsi del proprio malessere, come ci racconterà la fine del piano-sequenza, questa volta ripreso senza alcuna possibilità di liberazione.

Voto: ★★★★/★★★★★

Questa voce è stata pubblicata in Slow Cinema e contrassegnata con , . Contrassegna il permalink.

2 risposte a Professione: Reporter

  1. Davvero difficoltoso riuscire a rendere omaggio alla maestosità e al valore artistico del finale, complimenti 😉

    "Mi piace"

Lascia un commento