Psyco

Psycho (1960) – Alfred Hitchcock / USA

‘Psyco’ è uno dei pochi film impresso nell’immaginario collettivo, preso in ogni suo minimo dettaglio e riproposto continuamente in ogni dove, tutti i giorni. Una segretaria (Marion Crane, interpretata da Janet Leigh), cogliendo l’occasione, ruba parecchi soldi ad un cliente dell’agenzia nella quale è impiegata: dopo poco si pente ma sfortunatamente cade nelle mani di un assassino psicopatico. Dalla sorella all’amante di questa fino ad un detective privato, tutti proveranno a sciogliere l’enigma legato al misterioso Motel Bates e al suo misterioso proprietario.

L’opera si nutre di veri e propri attentati alla stabilità dello spettatore, alla sua concentrazione, al negargli punti di riferimento e certezze incrollabili. In particolare due sono le svolte. La prima è l’omicidio di Marion: in seguito si può affermare – o almeno pare fino all’ultimo – che l’opera segua piste già più note al genere. Ma la chiave dell’opera, che insieme all’omicidio di Marion ha reso grande il film, è Norman Bates, la seconda svolta del film. Quanto poteva apparire già ovvio si dimostra essere un’incognita. Si apre di fronte allo spettatore uno scenario psicologico del tutto imprevisto, che lo costringe a ricredersi, addirittura lo imbarazza e lo umilia se si pensa ai minimi sforzi fatti da Hitchcock fin dall’inizio per celare la vera soluzione del caso.

La scena della doccia, capitolo a parte dell’opera, va citata in quanto ai tempi risultò fortemente rivoluzionaria sia per la tecnica usata, sia per l’abilità di Hitchcock di aggirare la censura, sia perchè così facendo sconvolse il modus operandi di più di mezzo secolo di cinema: mai prima d’ora il protagonista assoluto di un film era scomparso così bruscamente, ancor prima di arrivare alla metà dell’opera.

Il lato tecnico di ‘Psyco’, come già accennato in precedenza, risultò strabiliante non solo grazie alle geniali trovate dell’autore o per la presenza costante di soggetti a sfondo psicologico inclusi in trame intricate e appassionanti, ma per il fatto che, come nel precedente ‘La donna che visse due volte’, tali traumi vengono mirabilmente sostenuti sia dalle prove attoriali, sia dallo sviluppo del personaggio all’interno del film, sia dalla resa di tali problemi attraverso dettagli, sensazioni, e scene oniriche grandemente suggestive e artisticamente ineccepibili. Da maniaco perfezionista qual’era, AH si nota essere in continua ricerca di una chiave di lettura direttiva che si adatti agli intenti della singola scena, definisce la struttura tecnica dell’opera intorno alle psicologie dei personaggi e ai risvolti dell’opera. Nonostante la soluzione non venga mai decifrata prima dello scioglimento finale, il carattere malato di Norman viene suggerito da moltissimi fattori (si veda ad esempio il suo discorso sugli uccelli impagliati e il dialogo che ne segue), così come si intuisce subito che il problema che ha Scottie con le vertigini nell’appena citato film precedente, servirà sicuramente ai fini della trama. Lo spettatore non sa in che modo finirà la vicenda, ma può intuire su cosa verterà il suo scioglimento finale. Al maestro piace ridere di chi lo osserva, canzonarlo, il sorriso finale di Norman è il suo. Le sfide che instaura, con sé stesso e con il suo pubblico, rimarcano la voglia di superarsi e l’abolizione della distanza tra autore e spettatore, i suoi film hanno ispirato gran parte del Cinema di genere (e non solo) successivo.

Voto: ★★★★/★★★★★

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