Rapacità

Greed (1924) – Erich von Stroheim / USA

 Il regista von Stroheim per questo film decise di rinunciare ad un enorme capitale in denaro per rendere ogni minimo particolare del film fedele al romanzo, ogni oggetto di scena il più possibilmente credibile ed infine una durata ed una resa tecnica talmente allucinanti da andare di fatto contro ad ogni canone filmico di quel periodo storico (il film infatti, delle durata iniziale di quattro ore, venne ridotto dalle major della metà).

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La storia: un uomo, MacTeague, spalleggiato dal suo miglior amico, comincia finalmente dopo un’iniziale sfortuna, a costruirsi una vita:apre uno studio dentistico, si sposa con la cugina dell’amico, e addirittura riesce insieme alla moglie a vincere alla lotteria la bellezza di cinquemila dollari. Tutto sembra procedere per il meglio quando ad un tratto la gioia per l’inaspettata fortuna diviene una maledizione. La moglie inizia a celare la vincita portando alla miseria la famiglia, MacTeague perde il lavoro, entrambi finiscono sul lastrico e, quando l’unico denaro rimasto diventa la maledetta vincita, la moglie rimane uccisa dalla disperazione dell’uomo, che scappa via col denaro. Spintosi poi nel bel mezzo di un deserto il protagonista dovrà fare i conti con l’altra faccia del male, l’amico Marcus, così il cerchio della morte si chiuderà finalmente sui tre protagonisti.

Se fino a quel momento già si erano visti nascere tanti talenti affermati, come per esempio Murnau, Eisenstein o Griffith, sicuramente tra tutti questi von Stroheim è quello che più ha sfidato, rivoluzionato e messo in scena il cinema più refrattario e tecnicamente avanzato, e questa è la sua massima prova di talento. In questa pellicola infatti si fonde un profuso e particolareggiato lavoro di metafore e complicate tecniche direttive, che puntano a creare dietro ad ogni azione, parola o messaggio, un pesante riferimento allegorico o metaforico, che il più delle volte sottolinea la malvagità di fondo dei personaggi in causa e la loro grande avarizia, il tutto con rapaci e scarne mani, gatti famelici e assassini o suggestioni visive dettate dalle circostanze. Il film infatti è, fin dal primo momento, un’aspra critica al sistema americano dell’epoca (in questo caso al particolare peccato richiamato dal titolo stesso) e si pone in pesante distacco da esso tramite una forte incentivazione della figura dell’uomo come ricettacolo di vizi e di malvagità: la smania del possesso, la mancanza di fiducia; ogni fattore che caratterizza in negativo l’uomo viene qui preso, mostrato con brutalità, e infine sottolineato tramite una pesante, continua e ossessiva ripresa tecnica. La maniacale cura del cineasta austriaco per la resa perfetta delle circostanze e la sua secondaria attività di supporto surreale tramite continui rimandi allegorici crea in definitiva un’opera davvero perfetta.

Il principale aspetto del film viene dunque continuamente rimandato dall’apparato tecnico, che risulta come il vero punto forte del film. La regia è superba e sfrutta ogni possibile tipo di inquadratura ed espediente tecnico per mettere in punto la propria visione della storia. Spesso e a seconda delle situazioni von Stroheim usa campi e controcampi come anche profondità di campo, per accentuare un aspetto piuttosto che l’altro, come può essere la distanza tra i due coniugi, rosi dentro sempre più dalla loro vincita, oppure la messa in risalto volontaria della trasandatezza e della miseria, della brutalità e degli istinti più bassi e bestiali che l’uomo e la consorte sfoggiano continuamente. Ma non solo loro:l’amico Marcus, che inizialmente sembrava una figura positiva, si rivela presto corrotto quanto i suoi amici, segno della completa perdita di speranze che il regista manifesta e dell’impossibilità di redenzione in un mondo logorato dall’opportunismo e dall’egoismo. In sostanza quindi una visione davvero superba, dove il surreale si mescola con straordinaria efficacia con il reale, creando una doppia interpretazione che non solo affascina per il suo coraggio e la sua bellezza artistica ma riesce pienamente a centrare il bersaglio facendo comprendere quanto mostrato. Per il regista in questione la rapacità è l’impossibilità di separarsi dalla componente umana che lega l’essere ad ogni suoi istinto egoista e opportunista, è la predestinazione stessa dell’uomo a vivere per come farebbe se non venisse fin dalla nascita intrappolato dalle reti della convenzione sociale, che maschera i difetti e limita la libertà personale: è un portare alla luce la finzione di un modo di vivere falso e meschino, la contraddizione tra ciò che appare sullo schermo e ciò che veramente è (come le sequenze del matrimonio, dove la chiesa è avvolta dalle tenebre e da funesti presagi, o quella della donna, che appare illusoriamente come una suora, nonostante tutta la sua meschinità). E difatti più volte il film utilizza una chiave di interpretazione realista e materiale, come già accennato riguardo alla messa in mostra brutale dei difetti dei personaggi, dimostrando di saper equilibrare bene l’elemento irrazionale con quello invece razionale.

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Voto: ★★★★/★★★★★

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