Shoulder the Lion

Spirit/Will/Loss (2015) – Erinnisse e Patryk Rebisz / USA

Quando all’approccio all’Arte viene a mancare la percezione dell’immagine, quando il difetto pregiudica una vita intera di passione e di dedizione, la concezione e la sensibilità della/verso la stessa diventano gli unici mezzi per esprimere il proprio io. Di fronte alla magniloquenza di simili opere si comprendono le infinite strade che congiungono l’essere all’espressione della propria esistenza, alla messa a fuoco e all’istruzione che una pennellata, una nota o un fotogramma riescono a dare, cambiando vite e permettendo la comprensione più profonda che si cela dietro al misterioso, insolubile mistero che è l’Arte. Un film superbo, necessario, indimenticabile, la ripresa fedele e universalmente fruibile delle immense potenzialità che il mezzo cinematografico offre per illustrare un mondo, insegnando a sopravvivere  e a fortificarsi attraverso un dramma vissuto.

Tramite l’intelligentissima quanto efficace e obbligatoria scelta di spostare l’opera sul piano di un puro documentario, gli autori propongono un trittico di esperienze di vita di tre persone segnate da tre conseguenti eventi che ne hanno precluso le loro facoltà percettive: Alice Wingwall, fotografa non vedente, Katie Dallam, ex boxeur ora artista e scultrice in seguito alla perdita del cinquanta per cento delle facoltà percettive e Graham Sharpe, musicista quasi del tutto sordo, ora fondatore di uno dei più prestigiosi festival indipendenti della musica. Attraverso le loro testimonianze assistiamo ad una fusione immagini-sensazioni e a continue metafore visive che ne accentuano il significato e la suggestività, rendendo così la visione un susseguirsi di emozioni indescrivibilmente forti e toccanti, semplicemente indimenticabili.

Spirito, volontà, mancanza: da qui si parte. Questa, come ci spiegano i due registi, è la combinazione di un’esistenza annichilita e segnata dal trauma di una perdita, o forse in questo caso sarebbe meglio parlare di acquisizione fondamentale, di possibilità di riscatto: perché le perdite subite presentano l’occasione necessaria per riscrivere una vita e un pensiero, un atteggiamento nei confronti dell’arte che tende a purificare la stessa grazie ad una sua coscienza estremamente più profonda del normale. Perciò ‘Shoulder the Lion’ ci mostra qualcosa di quasi proibitivo, qualcosa che prescinde dalla normale acquisizione del concetto di opera d’arte, e che reinterpreta tale approccio alla stessa attraverso una visione determinante, dove all’inizialmente palese privazione (con)segue una catarsi universale, penetrante e imprescindibile. Liberarsi dalla schiavitù della superficialità diventa un dovere, fondersi con le proprie percezione sensoriali, diventare un tutt’uno con se stessi comprendendosi e regalandosi una ragione di vita, tutto questo viene palesato e mostrato dallo sguardo di chi ha vissuto veramente, da una prospettiva dunque fondamentale, coinvolta e proprio per questo decisiva. Ma è solo rimettendo in discussione il concetto di Arte che si può realmente percepire le potenzialità della stessa, è solo nella pura comunicazione con essa che si ritrova la propria auto-determinazione.

Tre vite ad un primo giudizio private di qualcosa, difettose, tragicamente sofferenti, che però si rivelano profondamente acquisenti, avvantaggiate dalla loro perdita. L’arte si riconferma qui quella forza capace di trasmettere nuove emozioni, nuovi stimoli e nuove ragioni di vita, non per la passione che si prova verso questa ma bensì grazie all’infantile, innata percezione della stessa; l’atto designato diventa un recupero di una dimensione originale, e attraverso questa riscoperta si apprende a vivere, si cresce e ci si confronta con i propri limiti, tornando ad una primordialità che dovrebbe appartenere all’impatto dello spettatore con l’opera, che si libera da ogni preconcetto mostrandosi così com’è, ovvero semplice e pura, essenziale e naturale. L’impatto è sofferto, è la conseguenza di una ormai sconosciuta attenzione verso l’Arte, ma elaborando il lutto si diventa parte di una trasformazione essenziale. I protagonisti raccontano le loro esperienze, ma in realtà non sono loro a parlare, quanto l’Arte stessa a parlare per mezzo di loro, quello che le tre persone hanno vissuto diventa indiscutibile, compreso, interiorizzato e praticamente provato semplicemente perché riconosciuto come vero a priori, e questo grazie all’immagine che viene posta dai due autori.

Parallelamente con le vicende raccontate, si muovono impercettibili la mani dei registi. Impercettibili poiché ad ogni esperienza e sensazione provata, narrata dai protagonisti, ne consegue una speculare interpretazione visiva, dove alla cecità di una anziana si accosta un invalicabile muro trasparente, che offusca senza pregiudicare, e ad un udito perduto vediamo seguire un’immaginaria dimensione insonorizzata che si tramuta presto in una realtà libera da ogni vincolo o difetto uditivo. La regia dei Rebisz è toccante, emotivamente imperiosa è fortissima, valica il confine tra immagine e suono con un’intelligenza inaudita, comprende i drammi narrati andando ben oltre la semplice trasposizione, e comunicando un messaggio impossibile da eludere o escludere, proprio in quanto provato dall’opera stessa. La straordinaria efficacia della direzione è d’altronde riscontrabile in una volontà di riprendere il dramma per scopi istruttivi, per confermare una volta per tutte la necessità di un Cinema che diventi parte della vita e della crescita personale dell’individuo, di un Cinema quindi efficace perché utile e visivamente scioccante, e non perché designato tale a priori da fattori esterni.

Voto: ★★★★/★★★★★

Questa voce è stata pubblicata in Cinéma Vérité e contrassegnata con , , . Contrassegna il permalink.

4 risposte a Shoulder the Lion

  1. Frank ViSo ha detto:

    Questo sembra veramente interessante, mi intriga parecchio il passato artistico di queste tre persone e la scoperta del loro nuovo percorso, profondamente percettivo… Ho notato però che su Mubi non è inserito, difficile reperirlo?
    Infine voglio rinnovare i complimenti, poichè constato con piacere, ad ogni articolo, un accrescimento della padronanza linguistica davvero considerevole. Ottimo ragazzi!

    Piace a 1 persona

  2. Patryk Rebisz ha detto:

    Thank you for a wonderful write up about our film!!!

    Piace a 1 persona

Lascia un commento