Colossal Youth

Juventude em marcha (2006) – Pedro Costa / Portogallo

Un viaggio attraverso le piaghe di un’umanità persa e dolorante, in balìa di una tempesta senza fine. Costa si fa portabandiera di un’intera nazione ma anche naufrago all’interno della stessa, essere umano depredato come tutti della propria libertà, confinato tra le mura di una città fantasma. La Rivoluzione, tema assai caro all’autore, fa breccia nell’opera, segnando uno dei più importanti film-testimoni del moderno Cinema europeo.

Il protagonista Ventura, appena abbandonato dalla moglie, vaga per le periferie di Lisbona trascorrendo il tempo con i figli, immaginari o meno. Tra il tempo speso con loro e il suo vagare errante per la città, scrive una lettera diretta alla compagna, ogni giorno una frase.

Fondamentale a livello narrativo l’incipit, che getta repentinamente l’osservatore in un mondo a sé stante: la moglie del protagonista, con in mano un coltello, minaccia Ventura di lasciarla andare, sfogandosi di tutte le sue angosce, dopodiché fugge via. Nonostante il nostro protagonista sia profondamente scosso da tutto ciò – tanto da decidere di dedicare il resto dei suoi giorni a riottenere quanto appena perso – egli non viene mai ripreso in momenti di debolezza. Ventura è il grande portatore di fede del film, è attraverso di lui che si può fruire il grande messaggio sociale. Egli vuole essere un eroe moderno, un esempio per tutti, vagando continuamente di casa in casa per riaccendere in ogni uomo la fiaccola della speranza.

Il protagonista, ormai anziano e solo, diviene fil rouge all’interno del racconto. La cinepresa lo segue per tutta la durata del film suggerendo allo spettatore l’impressione quasi di un pedinamento. L’approccio alla materia appare nuovamente documentaristico, ogni dettaglio assume un’importanza palpabile e l’ambiente circostante si fa chiave per poter comprendere la realtà. La periferia diventa il simbolo di degrado, dello stato di povertà e miseria in cui è ridotto e l’inserimento di un immaginario messia come può esserlo Ventura mette in risalto le circostanze conferendo una carica quasi surreale alla pellicola. Interessante è inoltre l’uso della luce nel film: essa passa da luoghi bui e oscuri, accerchiati dalle tenebre più cupe, a grandi stanzoni illuminati e arieggiati o spiazzi splendenti, nel bianco abbagliante dei grandi palazzi circostanti.

Il chiaro scontro dualistico tra speranza e miseria, che è al centro della pellicola, si evince non solo dal piano narrativo, bensì anche dalla tecnica utilizzata. Costa vince il timore di accostarsi al substrato della realtà portoghese (cosa tra l’altro già ostentata precedentemente in ‘Nella stanza di Vanda’) abbozzando, come si intuisce dalle scenografie volutamente approssimative, una periferia che sente l’avvicendarsi di un riscatto. Più precisamente quest’ultima avverte il bisogno di far sentire la propria voce, scrollarsi di dosso l’emarginazione sociale che la contraddistingue testimoniando la necessità di vivere nella – e grazie alla – rivoluzione. Con le opere di Costa si parla dunque di rivendicazione, del carattere contestatore proprio al Cinema.

Voto: ★★★★/★★★★★

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