Stranger Things 2 (2017) – Matt & Ross Duffer
Se pensiamo al panorama offertoci di questi tempi dalle serie televisive, sempre più spesso riflessi di una forma d’Arte prettamente cinematografica, non è semplice raccapezzarsi, tanto meno stupirsi. Eppure ‘Stranger Things’, soprattutto questa seconda stagione (trasmessa su Netflix a partire dall’Ottobre 2017), in gran parte ci riesce. Sarà la nostalgia per un decennio, gli eighties, e per il Cinema sci-fi tanto in voga in quegli stessi tempi; sarà la varietà, la validità del cast, l’autenticità e la spontaneità dei suoi componenti, personaggi originali e molto ben approfonditi; sarà il fascino di accettare l’esistenza di una dimensione parallela alla nostra, un mondo sotterraneo tanto spaventoso quanto di fatto ben protetto da un’eroina tra le più genuine che la televisione ci abbia mai offerto. Fatto sta che ST è un prodotto sui generis, assolutamente valido, capace fin da subito di far propri i segreti del successo. Qui la serie riprende in mano ogni discorso precedentemente abbandonato, ogni mistero fino ad allora celato o solo accennato, sfruttando – e in un certo senso anche approfittando – le aspettative spettatoriali ben mirate. Undici, pur sempre personaggio centrale, cede leggermente il passo in favore di un quadro più generale di Hawkins e dei suoi abitanti, dai quattro ragazzi (Mike, Will, Dustin e Lucas) fino allo sceriffo Hopper. E, per quanto la struttura rimanga la stessa osservata nel corso della scorsa stagione, cambiano i tempi, cambia la mentalità. Se inizialmente si ricercava un approccio più accademico, cauto e succube dei troppi stereotipi del caso (e.g. minacce difficilmente scongiurabili), qui si spinge decisamente oltre, in particolare superato il quinto episodio, dove improvvisamente da blando e pacato, il ritmo si fa frenetico e incalzante senza per questo perdere in spettacolarità e sentimento.
Matt e Ross Duffer realizzano un prodotto di fantascienza quasi snobbando la componente scientifica, privandola del peso prevedibilmente suo. Costruiscono personaggi comuni, piccoli supereroi senza poteri o, come Undici, parsimoniosi e umili nell’uso degli stessi: permeano la loro creatura di un’atmosfera familiare, malinconica, musicalmente, visivamente e mentalmente immersa in quel 1984 che è poi l’anno stesso in cui sono ambientate le vicende. Abbandonando l’esibizionismo fine a se stesso, i cliché del genere e le semplificazioni (il facile ricondursi ai paradigmi del buono e del cattivo), i due ideatori sono consci dell’importanza e della necessità di creare qualcosa di visivamente impressionante, qualcosa che riesca a coinvolgere non solo lo spettatore più ingenuo, più giovane – compito del resto sempre più arduo di anno in anno – ma altresì un pubblico più vasto ed eterogeneo.
Ecco che da questo punto di vista ST2 regala episodi mozzafiato, sequenze spettacolari e un epilogo tra i più impressionanti degli ultimi anni assieme alla terza stagione di ‘Bojack Horseman’ e al finale di prima targato ‘True Detective’. Ma ancora pochi, ben dosati i colpi di scena e gli intermezzi prettamente sentimentali (qui privi di frammenti di carattere sessuale); l’impatto emotivo, condensato nel finale, viene concesso in dosi uguali nei tre capitoli conclusivi. Equilibrato, epico e stranamente generoso nei confronti del suo pubblico (lusso che ben poche serie si permettono di accordare) è il caso di dire che ST2 convince soprattutto per la chimica che i protagonisti si e ci trasmettono, creando un gruppo unito, che combatte il Male con le armi del semplice coraggio e della forza d’animo. E, se da un lato si apprezza la raffinatezza di prodotti che come ‘Mindhunter’ riescono a spiccare per stile, impegno ed eleganza nonostante la sostanziale mediocrità dell’intreccio, dall’altro non si può che gradire la spensieratezza di un oggetto che commuove al contempo per la leggerezza e per il grande, autentico valore. Non è l’evento sconvolgente, nemmeno l’irripetibile eccezione, soltanto una nota molto ben gradita in un panorama, quello televisivo (almeno sulla carta), che dimostra di poter compiere imprese sempre più grandi, prima su tutte il trionfo sulle classiche due orette del grande schermo.