The Sun and the Moon

The Sun and the Moon (2008) – Stephen Dwoskin / UK

Nel sottile onirismo di un incubo che sembra quasi voler fagocitare lo spettatore, renderlo partecipe di un dolore, di uno spasmo  tangibile, scivoliamo ammaliati nei sotterranei del subconscio, trascinati e incantati sulle note di una follia dettata dalla sofferenza ma altresì fascinosamente nobilitata da una cornice fiabesca, allucinante. L’operato di Dwoskin, al di là degli stretti riferimenti alle vicissitudini personali dello stesso, lascia sempre pochi sottintesi, pochi dilemmi; si potrebbe quasi definire come erudente, diretto, autentico ma al contempo anche contraddittorio nella sua forma, nel suo stile visionario, come un lento scivolìo nelle piaghe di un malessere col tempo sempre più ravvisabile nelle opere dell’autore. Si tratta infatti nient’altro che di una cronaca di un soggetto talmente appariscente nella sua deformità da essere camuffato o accostato ad un che di irreale, come a volerlo rendere ancora più crudo, toccante ma mai artificioso o per questo meno onesto.

Idealmente accostabile ad una fiaba, ‘The Sun and the Moon’ parte però dalla traumatica esperienza dell’ormai defunto regista Stephen Dwoskin (affetto da poliomielite acuta sin dall’età di nove anni), raccontando gli effetti della visione del soggetto stesso su due donne durante gli stadi ed i momenti più devastanti e raccapriccianti della malattia. Queste ultime, una più giovane, l’altra più matura, osservano ora preoccupate, ora spaventate, ora sinceramente toccate nel profondo, il protagonista alle prese con una lotta che nella vita lo vincerà in modo definitivo solo nel 2012, all’età di settantatré anni. Disteso nudo nel suo letto, mettendo brutalmente in mostra le conseguenze fisiche e pratiche della sua disabilità, egli arranca affannato, in lacrime, si dispera, vaga con lo sguardo verso chi al contrario, probabilmente, non riuscirà ad affrontare con altrettanto coraggio quel dolore così attuale, così vivo.

Lenta eppur di forte impatto, di impensabile vigore, l’opera suggerisce sensazioni per attimi in effetto rallenty ed arricchiti fonicamente da versi propri di bestie, di mostri, boati indefinibili dall’effetto terrificante. Ciò che identifica il reale resta, appare però intensificato e fortificato da uno stile vigoroso, perfettamente cadenzato ed alternato ad immagini altamente suggestive e ad eventi naturali che intensificano ed accompagnano la vicenda come a volerla situare in un dove più specifico. Partendo da un temporale (riminiscenze di un analogo inizio nel dittico di Reygadas ‘Silent Light’ – ‘Post Tenebras Lux’), dal rapido, incessante scrosciare della pioggia fino al docile, frusciare di foglie, la natura ed il suo logico corso (falchi, ragni, la fauna immersa nel proprio habitat); dal ritmico, serpentino muoversi del vento fra gli alberi, da tutto ciò viene costruita una sorta di intermittenza, un qualcosa che intensifica e rende significato alla vicenda in sé e al suo divenire. Il panico è presente, la foschia del presente anticipa l’apprensione per il domani. Le bocche orribilmente spalancate, gli occhi, disumani, tutto ciò che è vero viene teatralizzato e restituito nella sua vena più febbricitante, diversamente agghiacciante. Tutte caratteristiche che vanno a comporre un mosaico dall’apparenza ben definita, tanto stupefacente e sensato da risultare doppiamente apprezzabile nel suo accostamento autobiografico.

Il Cinema del vissuto, quello che lavora sull’empatia, produce ipnosi, manifesta l’immagine come idolo, come stasi, travalicandola al contempo come per annientamento, saturandola di autocoscienza; armonioso incontro soggetto-immagine, immagine adimensionale, immagine-possibilità di una realtà sconfinata, riportata all’essenziale: il dolore della mancanza, l’incombere dello spazio. ‘The Sun and the Moon’, come del resto il reale che filma, altro non è che un lutto, un cancro seducente che brucia come un focolare domestico, ardente e mai domo.

Voto: ★★★★★/★★★★★

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