A Page of Madness

Kurutta Ippēji (1926) – Teinosuke Kinugasa / Giappone

Discontinua e frammentata pellicola avanguardista, composta da sequenze deliranti e multiformi che assumono il volto di una realtà malata e deforme, fino a scomporsi del tutto in uno scenario di cataclisma umano dove il dilemma diventa la lucidità e non più il dramma in sé per sé. Questo geniale quanto unico lavoro del maestro nipponico Teinosuke Kinugasa, perduto e riscoperto solo quarantacinque anni dopo, rappresenta la forma più perfetta, originale e confacente di pellicola d’arte, nel senso proprio del termine; un vero e proprio patrimonio culturale, affascinante, potente e immortale.

Pur con la sua entità di pellicola avanguardista, quasi sperimentale visto il periodo storico, e quindi prevalentemente incentrata sulla forma e non sui contenuti, ‘A Page of Madness’ vanta una trama e uno sviluppo, seppur confusionari e, come già accennato, discontinui. Siamo in un ospedale psichiatrico: il protagonista è un inserviente, divenuto tale per poter sorvegliare la moglie ricoverata, ormai completamente folle. Un giorno la figlia dei due si presenta nell’istituto per comunicare le sue imminenti nozze. Da qui la narrazione si fa ancora più delirante, sovrapponendo e incastonando flashback, incubi e sottotrame, tra i quali il tentativo del protagonista di fuggire dall’ospedale assieme alla moglie, alle già numerose sequenze raffiguranti pazienti ripresi in atti deliranti.

Costretto in seguito dal suo governo a lavori decisamente poco impegnativi e speranzosi come ‘La porta dell’inferno’, è solo negli anni venti che il genio assoluto del regista giapponese in causa porta in scena quelli che sono la sua poetica e il suo rivoluzionario e innovativo apporto tecnico al Cinema. In ‘A Page of Madness’ sono presenti due concetti sopra di tutti che man mano provano a farsi sempre più spazio all’interno dell’opera, ovvero quello del Cinema in quanto reinvenzione massimale delle facoltà tecniche a disposizione e quello dello stesso come denuncia sociale e artisticamente valida. Si può dire infatti che la pellicola si sviluppi su questi due differenti piani, dando però meno importanza al secondo. A partire dall’atmosfera creata, dalle musiche riprodotte, Kinugasa ci cala in un vero e proprio viaggio negli Inferi della perversione umana come solo uno Zulawski sa fare, disegnando un ambiente, quello dell’ospedale, offuscato dai fumi della pazzia, popolato da persone che vagano come spettri evanescenti. Il volto, a differenza dei precetti espressionisti, assume qui molta meno importanza. La claustrofobia del luogo, la resa perfettamente efficiente del clima di instabilità mentale, le vicende che perdono il loro valore grazie alla maestria direttiva che ne risalta solo gli aspetti tecnici, insomma: tutto diviene fatuo, forte di una superiorità di mezzi e di obbiettivi che eclissa ogni tipo di ragionamento o temporalità in favore di un vuoto angosciante e opprimente che atterrisce e annulla ogni tipo di riferimento.

Delirante tanto quanto lo Tsukamoto di opere come ‘A snake of june’ e ‘Tetsuo’, e avanguardista come il Matsumoto di ‘Funeral parade of roses’, Kinugasa rigetta ogni precedente canone filmico, costruendo una sapiente quanto spiazzante vicenda che tramanda in ogni sua sequenza un concetto di immagine non più schiava della sequenzialità(o dello spettatore per capirci) ma serva dello sviluppo dell’arte e alla ricerca della vera essenza e purezza del Cinema, che penetra nell’inconscio attraverso la validità autoriale-filosofica. Il suo è un Cinema fondato sulla potenza visiva dell’immagine e sul contrasto tra quest’ultima, il montaggio frenetico delle sequenza e la sua entità fortemente evocativa e surreale. Ma questo prende inevitabilmente spunto dalla realtà presentata, figurandone come un suo derivato e perciò direttamente conseguenziale alla stessa. Una realizzazione quindi che, attraverso la genialità dell’autore, ripresenta la realtà fondendosi con la stessa in un gioco visivo, in un alternarsi di reale e finto, onirico e presente, che disorienta lo spettatore dilatando il tempo in un’unica giostra di perversione. In una dimensione dominata dall’inquieto divenire di un’immagine demistificata della sua originaria valenza positiva e buonista, Kinugasa confeziona una pellicola monumentale e indimenticabile, dove ciò che è lascia il posto a ciò che ancora non è ma si avverte a livello psicologico, e in questo senso sono chiave le sequenze folli della seconda parte del film come le danze dei ricoverati e la tentata fuga del protagonista.

Voto: ★★★★/★★★★★

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2 risposte a A Page of Madness

  1. Frank ViSo ha detto:

    Ne ho un ricordo molto offuscato ma estremamente positivo, delirante è proprio l’aggettivo più confacente a questo storico pezzo di cinema, hai ragione, certamente un capolavoro! È da tempo che mi riprometto di rivederlo, assieme ad altri, troppi film che vidi anni fà e che mi lasciarono impronte incancellabili nella mente. Immenso anche Funeral Parade of Roses, altro incontestabile capolavoro, del quale conservo un ricordo più lucido…
    Grazie per questo doveroso recupero ragazzi !

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    • paxy ha detto:

      Sì, in effetti i film da rivedere sarebbero tanti, troppi forse, e questo è uno di quelli. Il parallelo con Matsumoto mi è venuto spontaneo per via delle analogie stilistiche, spero di aver reso un minimo l’idea.

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