Mouchette (1967) – Robert Bresson / Francia
Uomini, donne, intere famiglie segnate dall’egoismo e dalla voracità di un tempo in rovina, su di loro la folta boscaglia che circonda i misfatti: solcarne il limitare può voler dire, come per la giovane protagonista, esporsi a se stessa, al prossimo, alla pervicacia di un grigiore che sembra attanagliare il presente privandolo di ogni luce all’infuori di quella che prevede la fine stessa, il suicidio, il lento rovesciarsi verso l’eternità .
Lo narrazione si sviluppa attorno alla figura della protagonista Mouchette, giovane ragazza alienata dal mondo che la circonda, la stessa alienazione che si ripresenta continuamente nella sua vita, ponendosi come ostacolo per la propria felicità. In una giornata burrascosa incontra per caso un bracconiere, e questi le racconta falsità così da convincerla a pernottare con lui; la cortesia della ragazza non verrà però ripagata dall’uomo, che anzi, dopo una crisi epilettica, la violenterà senza alcuna commiserazione. Il giorno dopo Mouchette torna a casa, ma anche qui non la aspetta nulla di buono: assiste a sua madre morente, dopodiché si ritrova da sola a dover badare al fratello neonato. Ora non vi è più nessuna ragione di esistere, forse non ve ne è mai stata una. Non resta dunque che abbandonarsi alla propria fine.
Attraverso una mise-en-scène estremamente cruda e realistica, tipicamente bressoniana, l’autore si permette di lavorare su una dimensione atemporale dove poter collocare i vari eventi e personaggi del film per poter comporre ancora una volta una matura quanto spaventosa allegoria di vita, sempre sul modello delle altre prodotte nel suo periodo d’oro; da qui si spiega il titolo italiano ‘Tutta la vita in una notte’, proprio come a voler definire universale ciò che non lo è ma che in realtà in qualche modo rappresenta l’universalità, come può esserlo l’eterno tormento dell’uomo. Tormento che nel film si fa quanto mai vivo, essendo presente in ogni singola sequenza, ma sempre ai danni della giovane protagonista: lo si riscontra nell’obbligo di cantare impostole dalla maestra di scuola, nello stupro da parte del bracconiere, nel perenne pianto del fratello minore, ma soprattutto nella stessa caratterizzazione del suo personaggio, ancora una volta una figura innocente, una bambina, e ancora una volta la sventura segue in ogni dove tale personaggio, non dandole tregua e forzando così il suo inesorabile destino.
Nella poetica dell’autore la riproduzione del personaggio principale non si focalizza mai sulla psicologia, piuttosto sulla sua (a)moralità: il protagonista emerge costantemente debole, servo del proprio destino e schiavo del proprio malessere, e sempre di un’impotenza totale e totalizzante. E Mouchette rientra perfettamente in tale cerchia, essendo pertanto un’altra schiava del mondo, l’ennesima vittima di un’umanità abietta e spregevole di fronte alla quale non si può nulla. Dunque, come già era nel lavoro precedente, allo stesso modo assistiamo ad un’operazione atta a fondere assieme bene e male annullando così lo spazio che li separava e dando forma solamente ad un’unica essenza umana, fuggendo così da ogni sorta di moralismo implicito e rappresentando la natura dell’uomo in maniera monovalente e disillusa. Non esiste infatti alcun personaggio che possa manifestare altri aspetti al di là di quelli spregevoli e ignobili, nemmeno la protagonista che, pur essendo vittima di tale circostanze, non viene risparmiata da questa visione tanto cruda e disincantata. Poiché lo sguardo di Bresson non infonde mai in Mouchette pietà o compassione, nè le conferisce qualità che la possano porre al di sopra degli altri, potendo così rivedere in lei una sorta di positività, se non un personaggio eroico, al contrario si scaglia in maniera univoca su ogni soggetto del film, senza fare nessuna distinzione, giacché non sussiste umanità esente da tale prospettiva, vi è al massimo una ripartizione comportamentale tra carnefice e vittima dove però entrambi si ritrovano a dover subire quest’impossibilità a vivere, un’impossibilità dunque non umana ma esistenziale. La stessa che qui è causata da condizioni sociali ed economiche misere che potrebbero in questo senso assumere ruolo causale ma che in effetti non fungono nient’altro che da pretesto per esprimere un senso di vuoto esule da una qualsivoglia ragione materiale in quanto originario.
Voto: ★★★★/★★★★★
Rivederlo in sala è stata per me un’esperienza davvero necessaria, e ho avuto anche piacere nel rileggere la vostra recensione. Con questa revisione ho potuto davvero confermare che la necessità di una visione esistenzialistica tanto scarna ed autentica provenga dall’intento stesso di Bresson nel voler riprendere la tragedia umana il più efficacemente possibile, regalando allo spettatore un enorme senso istruttivo in tale visione prettamente nichilista; di fatti il suo pessimismo non si manifesta nell’opera come un dato personale, ma risulta già innato alla realtà stessa che egli riprende nei dettagli più dolorosi e lancinanti, di fatto “Mouchette” mi ha davvero devastato come pochissimi altri film.
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Hai fatto bene ad andarlo a vedere sul grande schermo. Magari lo faremo anche noi, visto che in questi giorni lo danno pure a Milano.
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