Salinui chueok (2003) – Bong Joon-ho / Corea del Sud
Joon-ho costruisce qui un film praticamente senza sbavature, ben congegnato e coinvolgente, descrivendo nel contempo con estrema maestria e sagacia, non solo la vera storia di un serial killer ma un preciso clima storico, che ai tempi dei fatti era a dir poco inquietante.
La storia, nonostante tutta la sua apparente aura di mistero e di grottesco, è davvero semplice. Attraverso le vicende di un gruppo di poliziotti si narra le inutili ricerche di questi ultimi per catturare uno spietato serial killer. Non esistono piste, né indizi, né tanto meno testimoni, ma gli omicidi continuano imperterriti: non rimane che arrendersi.
Probabilmente il grande successo che la suddetta pellicola riscosse all’epoca, e che tutt’ora la colloca tra i più grandi polizieschi di sempre, è dovuto all’impianto sceneggiativo grandemente innovativo e rivoluzionario e all’entità fortemente critica e quasi burlesca che le vicende assumono nei confronti dell’intera società coreana di fine ottocento. Fin dal primo momento infatti si viene catapultati in un’atmosfera al limite del surreale, dove l’incredibile atrocità e l’ingiustizia del clima regnano sovrane. Gli omicidi si susseguono uno dopo l’altro, e proprio in questa ruota di sangue vediamo introdursi le vicende di un ispettore di polizia alle prese con un nuovo serial killer. Le ricerche sono disperate,ogni tentativo di avvicinarsi all’assassino, ogni possibile pista o testimone, tutto viene scongiurato immediatamente. E più passa il tempo e più la polizia, attraverso le sue azioni vane e proprio per questo rese in chiave ridicola, si trova davanti gente ostile, violenta muta, e tutto diventa quasi irreale, inutile. Ormai inerme il protagonista comprende l’ingiustizia e la crudeltà di un mondo in mano al dolore e alla spietatezza dell’essere umano, dove ogni buon tentativo diventa meno che una goccia in un oceano. Alla fine, attraverso una scena finale tanto splendida quanto celeberrima, comprendiamo la fusione tra resa tecnica e intreccio, che unisce l’intera pellicola con tutto il suo significato in un’unica conclusione, ovvero l’inutile lotta contro il male, la futilità di battersi contro e a favore di un paese intero per qualcosa di impossibile da svelare. E a questo senso l’immagine finale del detective invecchiato che torna dove è iniziato tutto e apprende da una bambina del passaggio dell’assassino e dell’impossibilità della piccola di descriverglielo è chiave dell’intero film. Ma un altro punto interessante è la costruzione della pellicola. La storia infatti, pur mantenendo sempre un certo livello di coinvolgimento e al contrario dei tipici canoni del genere, non si preoccupa affatto di creare pressione e tensione: nella maggior parte delle scene notiamo punti morti oppure sequenze silenziose, che puntano unicamente a creare un clima come già detto grottesco e incredibile. Se in altre pellicole simili per genere e paese infatti, come potrebbero essere un ‘Drug war’ o un ‘I saw the devil’, l’intensità è il fattore principale, qui l’assenza della stessa dimostra chiaramente una volontà non tanto legata alla godibilità della visione quanto al preciso messaggi storico. Un ritmo perciò estremamente altalenante, che riesce comunque ad incuriosire e in certi punti a commuovere, ma che in fin dei conti risente dell’eccessiva lentezza per il grosso della durata.
Voto: ★★★/★★★★★