Eyes wide shut (1999) – Stanley Kubrick / UK
Le pellicole di Stanley Kubrick avevano imparato oramai da tempo a giocare sul filo dell’inquietudine. Il meccanismo, difatti, è sempre il medesimo e ‘Eyes wide shut’ lo impara in fretta, perfezionandolo ulteriormente. L’opera di Schnitzler, cui fa riferimento il film, si intitola ‘Doppio sogno’. Kubrick parte proprio da qui, dal concetto di sogno, per costruire la vicenda, incentrando ogni altro fattore sull’unico fine di destabilizzare, far perdere la percezione di ciò che è reale e ciò che non lo è, smarrirsi in una dimensione che è altro rispetto alla realtà. Dal concetto di sogno però l’opera si evolve, spostandosi senza preavviso su quello di finzione. Lo spettatore non è preparato, non se lo aspetta, quello a cui assiste è un richiamo alla logica, a quella realtà che aveva perso di vista poco dopo l’avvio: una presa in giro cocente che non nega quello che in definitiva ci è stato mostrato fino a quel momento, un mondo irreale, illusorio.
Trattando di livello concettuale precedente, più immediato del sopra esposto, l’opera è una seria e ponderata riflessione sulla natura del sesso, su ciò che lo istiga, che lo comanda e che lo distingue nelle sue diverse connotazioni. Al centro del film infatti è una coppia agiata di giovani. Lui uno stimato medico, lei una donna dal fascino irresistibile. Quando quest’ultima confessa a Bill di un suo sogno proibito su di un altro uomo, ogni cosa precipita. Bill si getterà con sempre più disinibizione ai piedi di un mondo oscuro, perverso, un mondo di rituali orgiastici, pseudo-religiosi e violenti.
L’opera si svolge su di un solo piano, quello dell’autore stesso: la cinepresa assume connotati propri, incidendo notevolmente sulla lettura della sequenza, restringendo o ampliando gli spazi a seconda del caso, incutendo timore, angoscia, palpitante irrequietezza, ma sempre distendendo i tempi. Durante la scena clou del film infatti, in cui osserviamo Tom Cruise accerchiato dai massimi membri della setta, la macchina si muove lentamente, passando da dietro il protagonista e compiendo poi una circonferenza alle spalle dei membri stessi: ciò contribuisce nel conferire al momento una potentissima carica emotiva. Il costante ma lento movimento della regia, il silenzio dell’atmosfera, la perfezione dell’inquadratura e la cura dei dettagli, l’angosciosa tensione che inevitabilmente si va a creare sui pochi dialoghi presenti e ancora la tetra e grottesca resa del momento rendono ogni scena, come tra l’altro avveniva per ‘Shining’, incredibilmente tesa fino al parossismo.
Per Kubrick il cinema è un mezzo espressivo talmente potente e capace da permettere la divulgazione più realistica possibile di un determinato concetto, della sua natura più intima e concreta, di ciò che è intrinseco alla stessa. Assistiamo quindi ad una sorta di contraddizione, la convivenza di due tendenze dualistiche, quella che vuole trattare un argomento con serietà (concludendo dunque un percorso artistico e una carriera dopo tre anni di sofferta lavorazione) e quello che non rinuncia a prendersi gioco dello spettatore e finanche degli interpreti della pellicola. La vicenda vissuta infatti, che si parli di realtà o di finzione, li ha portati a conoscersi meglio, ad affrontare il loro rapporto con più maturità, e la massima espressione di tutto ciò, il fine ultimo, è, come detto dalla Kidman sul finale: scopare.
Voto: ★★★★/★★★★★