Il mondo di Apu

Apur Sansar (1959) – Satyajit Ray / India

Può quasi confondere, spiazzare, rendersi facilmente travisabile, la semplicità disarmante delle vicende narrate da Satyajit Ray. Sono infatti, solitamente, storie di povertà le sue, umili parabole che raccontano esistenze piuttosto comuni di individui ancor più comuni, quasi dei veri e propri stereotipi se non fosse per la loro speculare attinenza al volto che rappresentano del paese, l’India. E proprio dell’India si fa rappresentante Ray, qui più che mai, raccogliendo un fanciullo Apu e tirandolo su, osservandolo crescere e affrontare problemi via via differenti, realtà in mutamento. Dopo ‘Il lamento sul sentiero’ e ‘Aparajito’, questo ‘Il mondo di Apu’ è il capitolo conclusivo di una saga cinematografica vera, sentita, estremamente vicina al pur lontano spettatore occidentale.

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L’autore affronta e mette a nudo senza teatralità i dolori e le difficoltà naturalmente imposte dal corso della vita – e di una storia piuttosto comune, come detto, si parla. Infatti, qui come nei precedenti capitoli della saga, è la morte, una morte improvvisa, a sconvolgere l’equilibrio, innescando il processo di crescita del protagonista. Il così forte amore inaspettato che Apu si ritrova a provare verso la moglie, sposata per fare un favore ad una amico, si rivela essere la più grande delle gioie ma anche pericolosa scintilla di un processo negativo. L’inesperto Apu insegue la propria via sempre a discapito di dolori personali e scelte dolorose, come quella di intraprendere una carriera studentesca al di sopra delle possibilità economiche della famiglia, segnando definitivamente la vita della madre ed essendo quindi costretto, dopo la morte del padre, ad abbandonarla nella miseria.

Abbandonando i sontuosi, eccelsi e mai più replicati vertici del precedente ‘La sala di musica’, indubbiamente uno dei più grandi film indiani mai realizzati, vero e proprio saggio registico, Ray dirige l’opera con una sobrietà che ben si adatta alla vicenda narrata e ai suoi scopi, interpretando il percorso della trilogia nella maniera più sobria e convincente. L’attenzione del regista si sofferma – grande costante di gran parte dei suoi film – sulla sfera familiare; ad essa è legata la memoria, la parte più rilevante dell’esistenza di qualunque persona. La disgrazia, il dramma, secondo l’autore non sono fatalità, casualità o intricato seguito di azioni ma naturale conseguenza dell’atto stesso di vivere, compiere scelte. Egli cerca di cogliere tramite le sue opere quanto di più vero si possa dire a riguardo di noi stessi, del nostro percorso: a determinare l’individuo è infatti più di ogni altra cosa l’errore, solo da esso si può imparare.

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Voto: ★★★/★★★★★

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