L’année dernière à Marienbad (1961) – Alain Resnais / Francia
‘L’anno scorso a Marienbad’, seconda pellicola del regista francese Alain Resnais, è uno dei più significativi manifesti del nuovo movimento artistico francese della “Nouvelle Vague”, un sontuoso esercizio di stile. Qui l’autore, affidandosi alla sceneggiatura dell’amico Alain Robbe-Grillet, crea un film criptico, si attiene ai taciti impliciti del silenzio, racconta la sacralità dell’attimo eterno durante il quale si dischiude l’essenza di un sentimento.
Durante una festa in un elegantissimo ed immenso castello nobiliare, un uomo chiede ad una donna, la moglie del padrone di casa, di mantenere la promessa fatta l’anno prima di fuggire insieme: la donna però non ricorda assolutamente né lui, né la promessa. Tutta l’opera è diretta con un’impronta di austerità tipicamente propria del passato documentarista dell’autore stesso; ricavando molto dalle geometrie, architettoniche e non, dello scenario e dell’ambiente circostante. I due personaggi sono l’unico accenno ad una qualche trama, ma non sono e non desiderano essere protagonisti, lo spettatore infatti non viene attirato dai loro discorsi, chiaramente in secondo piano.
Resnais punta ad uniformarsi ad una realtà vaga, inconsistente, proiettando il tutto in un emisfero irreale, un po’ come un sogno folle ed insensato. La mdp è in lento ma costante movimento spostando continuamente lo sguardo da un angolo all’altro della reggia. Inutile dire che risulta davvero difficile per lo spettatore seguire lo svolgimento senza avvertire il peso di questa lentezza narrativa. Ma, nonostante il film proietti ogni sua energia verso un unica dimensione avanguardista, che cerca di rompere con i tradizionali canoni di regia, è proprio questa sua tendenza al sublime a convincere senza riserve, questo suo voler creare una realtà surreale, non attraverso lo stravolgimento della realtà bensì tramite l’esasperazione vera e propria di essa, distensione temporale volta a sottolineare l’impossibilità e l’astrusità di un mondo che non crede più nella comunicazione tra esseri viventi, che vive in virtù di sé stesso.
Come nel suo precedente ‘Hiroshima mon amour’, il padre se vogliamo della suddetta pellicola, l’istante è preso ,immobilizzato e frammentato in tanti altri istanti, ognuno con la stessa importanza. L’azione e il pensiero, quindi il ricordo del passato, l’angoscia del presente e l’incertezza logorante del futuro, si vengono così a sovrapporre ponendosi sul medesimo piano, e creando due mondi paralleli che rendono così impossibile ogni tentativo di divisione dell’uno dall’altro. L’astrusità dei pochi dialoghi presenti, come già accennato, di fatto è solo un particolare di nessunissima importanza, un ulteriore rimando al definitivo crollo di una civiltà che non sa più come fare per tornare indietro, per cancellare tutto ciò che la ha portata a diventare quello che è, e cioè una futile, sconnessa ed individualistica concezione del momento. Il tempo non esiste, anch’esso viene spazzato via dalla concezione di mondo che Resnais rappresenta nei suoi lavori: esso non è più un divenire ma soltanto un eterno e immutabile adesso, un circolo vizioso che l’uomo ha creato e dal quale non riesce più ad uscire.
Da notare tra i dettagli menzionabili la simpatica parentesi del gioco dei fiammiferi che, introdotto nel film dal regista, risultò uno svago ampiamente usato e in voga per molti anni nella borghesia di quel periodo. Probabilmente c’è un fondo di verità nelle critiche che parlarono del film come di un puro e semplice esercizio di stile fine a se stesso, ma esso va comunque apprezzato per l’apporto innovativo che seppe dare al cinema, pur continuando sulla linea del precedente ‘Hiroshima mon amour’, ma in maniera diversamente nuova ed originale. Un’opera imperitura, di un fascino malinconico, severa e splendente come i monumenti e le sculture sovente in primo piano; uno sguardo che ammicca all’importanza dell’Arte per rivalutarla ma soprattutto per riscoprirla in tutta la sua importanza.
Voto: ★★★★/★★★★★